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Bee Bot alla scoperta della città


Bee Bot alla scoperta della città


Dal terrazzo
in Italo Calvino, Palomar

[...] La terrazza è a due livelli: un’altana o belvedere sovrasta la baraonda dei tetti su cui il signor Palomar fa scorrere uno sguardo da uccello. Cerca di pensare il mondo com’è visto dai volatili; a differenza di lui gli uccelli hanno il vuoto che s’apre sotto di loro, ma forse non guardano mai in giù, vedono solo ai lati, librandosi obliquamente sulle ali, e il loro sguardo, come il suo, dovunque si diriga non incontra altro che tetti più alti o più bassi, costruzioni più o meno elevate ma così fitte da non permettergli d’abbassarsi più di tanto. Che là sotto, incassate, esistano delle vie e delle piazze, che il vero suolo sia quello a livello del suolo, lui lo sa in base ad altre esperienze; ora come ora, da quel che vede di quassù, non potrebbe sospettarlo.
            La forma vera della città è in questo sali e scendi di tetti, tegole vecchie e nuove, coppi ed embrici, comignoli esili o tarchiati, pergole di cannucce e tettoie d’eternit ondulata, ringhiere, balaustre, pilastrini che reggono vasi, serbatoi d’acqua in lamiera, abbaini, lucernari di vetro, e su ogni cosa s’innalza l’alberatura delle antenne televisive, dritte o storte, smaltate o arrugginite, in modelli di generazioni successive, variamente ramificate e cornute e schermate, ma tutte magre come scheletri e inquietanti come totem. Separati da golfi di vuoto irregolari e frastagliati, si fronteggiano terrazzi proletari con corde per i panni stesi e pomodori piantati in catini di zinco; terrazzi residenziali con spalliere di rampicanti su tralicci di legno, mobili da giardino in ghisa verniciata di bianco, tendoni arrotolabili; campanili con la loggia campanaria scampanante; frontoni di palazzi pubblici di fronte e di profilo; attici e superattici, sopraelevamenti abusivi e impunibili; impalcature in tubi metallici di costruzioni in corso o rimaste a mezzo: finestroni con tendaggi e finestrini di gabinetti; muri color ocra e color siena; muri color muffa dalla cui crepe cespi d’erba riversano il loro pendulo fogliame; colonne d’ascensori; torri con bifore e con trifore; guglie di chiese con madonne; statue di cavalli e quadrighe; magioni decadute a tuguri, tuguri ristrutturati a garçonnières; e cupole che tondeggiano sul cielo in ogni direzione e a ogni distanza come confermare l’essenza femminile, giunonica della città: cupole bianche o rosa o viola a seconda dell’ora e della luce, venate di nervature, culminanti in lanterne sormontate da altre cupole più piccole.
            Nulla di tutto questo può essere visto da chi muove i suoi piedi o le sue ruote sui selciati della città. E, inversamente, di quassù si ha l’impressione che la vera crosta terrestre sia questa, ineguale ma compatta, anche se solcata da fratture non si sa quanto profonde, crepacci o pozzi o crateri, i cui orli in prospettiva appaiono ravvicinati come scaglie d’una pigna, e non viene neppure da domandarsi cosa nascondano nel loro fondo, perché già è tanta e tanto ricca e varia è la vista in superficie che basta e avanza a saturare la mente d’informazioni e di significati. [...]

Non solo l’impressione della città cambia rispetto al punto di vista fisico dal quale la si osserva; è anche, o soprattutto, la nostra esperienza a distorcerne e modificarne la percezione. Tanto più percorriamo le vie di un nucleo, tanto più ci sentiamo di conoscerne i percorsi e smettiamo così di vedere la città nella sua piena complessità.
Maggiore è la confidenza con la città maggiormente si tenderà a muoversi per automatismi, non pensando più al percorso da intraprendere ma percorrendolo semplicemente.
Il contesto urbano rappresenta una realtà complessa, ricca e variegata.
La città esiste, vive, si trasforma e richiede la nostra attenzione.
Muoversi attraverso il mutevole labirinto di strade, viali, viuzze, piazze e parchi della città è possibile solo rispettando una serie implicita di regole di comportamento; le macchine appartengono alle strade carrabili, i pedoni trovano il loro spazio sui marciapiedi, zone pedonabili e giardini, etc.


Il progetto si rivolge principalmente a bambine e bambini in età scolastica con l’intento di suscitare in loro, attraverso il gioco, una prima riflessione sulla struttura e accompagnarli nella scoperta dell’esplorazione della dimensione dello spazio e del tempo della città. “Bee Bot, alla scoperta della città” è concepito come un gioco che intende portare a riflettere sul tema cercando di condurre l’osservatore a porsi al di sopra delle abitudini e degli automatismi introducendo inoltre i suoi giocatori alla programmazione.

Il gioco si compone di due principali elementi; un board (o tavola) e una pedina, il Bee-Bot.
Sul piano di gioco (tavola) viene rappresentata, in modo schematico e con una grafica pensata per il giovane pubblico al quale ci si rivolge, la struttura urbana di un’ipotetica città con le sue strade, aree verdi, edifici, etc.
La tavola è composta da diversi tasselli e può essere assemblata secondo i principi di un puzzle. Ogni tessera riporta su di essa una parte del disegno della città; parti di percorso rappresentato dalla strada, aree verdi o lacustri, un parco giochi ed edifici diversi come una banca, un negozio, un museo, un ospedale e un ufficio postale.
La composizione di questo puzzle si offre a infinite possibilità: l’incastro delle tessere, sempre della medesima forma e dimensione, è infatti pensato per permette l’unione di tutte queste tra loro.
Diverse disposizioni delle tessere andranno così a costruire città diverse.
La dimensione di un tassello del puzzle è pari a 15 x 15 cm ed è strettamente legata alla capacità di movimento del Bee-Bot (pedina), un piccolo robot su due ruote che introduce i giocatori alla tematica della programmazione. Questo semplice robot dall’aspetto di un’ape viene programmato tramite una pulsantiera intuitiva presente sul suo dorso; quattro frecce direzionate secondo il piano cartesiano. Ad ogni pressione di una freccia corrisponde il movimento di 15 cm dell’ape in quella precisa direzione.
L’obiettivo del gioco è quello di raggiungere un luogo dato conducendo la pedina, il Bee-Bot, attraverso le strade della città. Per raggiungere un punto è necessario riflettere sui passi che il Bee-Bot dovrà compiere; è quindi necessario osservare il percorso, comprendere gli ostacoli e le barriere da evitare e pianificare un tragitto.

Come già indicato il gioco è composto da due elementi.
Il Bee-Bot, un piccolo robot a forma di ape programmabile analogicamente tramite una pulsantiera presente sul dorso, è un oggetto già presente sul mercato che è stato concepito per avvicinare bambine e bambini dai 4 anni di età alla programmazione. Il suo funzionamento è molto semplice; il robot è composto da un corpo che si muove su ruote, assemblato con motori programmati a rispondere agli input dettati dall'utilizzatore. Sul dorso dell’oggetto si trova una pulsantiera composta da quattro frecce di direzione e altri tre tasti, il primo per salvare il "programma" generato, il secondo per cancellarlo e il terzo per avviare il movimento del robot. Il “codice” si compone premendo le frecce direzionali: ad ogni pressione corrisponde un avanzamento di 15 cm nella direzione indicata dalla freccia.

Dal funzionamento del Bee-Bot nasce il concetto del puzzle didattico.
Per rendere più efficace l'approccio all’urbanistica e alle sue peculiarità sono state legate le caratteristiche del Bee-Bot alle caratteristiche del progetto stesso. Il disegno della città realizzato su di un board di dimensioni totali 150 x 90 cm è stato quindi sovrapposto a una griglia composta da quadrati di 15 x 15 cm, che equivalgono appunto ad un passo del robot. In principio il progetto prevedeva la rappresentazione in scala di un solo e specifico quartiere, limitando però in questo modo alla lettura di un unico contesto urbano. Dall’esigenza di variare nasce così la suddivisione del tavolo da gioco in tessere assemblabili e disponibili secondo molteplici soluzioni. La caratteristica modulabile del board permette dunque di adattare lo stesso a infinite soluzioni, la griglia che scandiva il movimento della pedina è così diventata la matrice per un puzzle flessibile. Gli incastri del puzzle sono tutti uguali, ripetuti nella stessa posizione così da avere la massima libertà di assemblaggio.

            Grazie a questa soluzione il gioco si presta a possibili future espansioni. Come una città che muta e cresce anche l’ipotetica città del gioco potrà crescere e mutare con tessere contenenti nuove strade, nuovi e diversi edifici, etc.

Il disegno della tavola da gioco è stato realizzato con Adobe Illustrator. I tasselli del puzzle sono stati tagliati e incisi su due tavole di multistrato in pioppo di spessore 4 mm con l’ausilio di una macchina a incisione laser presente al FabLab SUPSI DACD di Mendrisio. La “lasercutter” utilizzata è una Trotec Speedy.
La realizzazione del “MockUp”, dal disegno alla concretizzazione dell’oggetto fisico, ha impiegato in totale 8 ore lavoro.

Il fine di questo progetto è dunque quello di accompagnare alunne e alunni, attraverso il gioco, alla scoperta del contesto urbano, spingendoli a immergersi maggiormente nell’osservazione attiva e nella comprensione di ciò che li circonda. Non limitarsi al solo guardare ma bensì vedere la città; leggerla, interpretarla, viverla.
Sempre attraverso la dinamica del gioco, e in particolare con l’utilizzo del componente “Bot”, il progetto è studiato per introdurre e avvicinare le sue giovani giocatrici e i suoi giovani giocatori alla programmazione.


Riferimenti bibliografici:
Italo Calvino (1983). Palomar. Giulio Einaudi editore s.p.a, Torino.
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